La scrittura che mette a punto i meccanismi della marca.
Copywriting, non marketing
Prima puntata.
Dove finisce il prodotto e inizia la marca? Finisce quando usciamo dalla dimensione ripetitiva dell’uso del prodotto ed entriamo nella dimensione rappresentativa di un modo unico di essere. La marca inizia quando la serialità della ripetizione sfuma nell’unicità della rappresentazione. C’è un confine tra un prodotto e le persone che non è di separazione, ma di distinzione. È là dove finisce il contatto e inizia la percezione. Dove finisce il mondo a 3 dimensioni – altezza, larghezza e profondità – e inizia il mondo a una dimensione in più. A volte è la dimensione della personalità, altre volte quella dell’immaginazione, altre volte ancora è quella della narrazione. La marca non ha più solo un ruolo didascalico nello spazio pubblicitario: «Qui c’è un prodotto». La marca si è costruita nel corso del tempo un ruolo metaforico: «Qui c’è un’immagine».
Così, la marca orienta le persone non solo nella presenza del prodotto, ma anche nella conoscenza di che cosa lo anima oltre al logo, al prezzo e al funzionamento. È sempre di meno la marca di una linea produttiva e sempre di più la marca di una linea editoriale. Per questo, per dare a quei confini una geografia servono i contenuti del copywriting, ma prima ancora gli ingranaggi di grafica e design. Compatta e corrispondente in tutte le sue componenti, una marca è un grande spazio, ma quello che oggi contiene è sempre più liquido. Ancora di più che in passato c’è bisogno di qualcosa che lo tenga insieme. La grafica fa questo. È come un addensante che tiene uniti elementi poco coerenti e molto sfuggenti.
Il colore è il tratto somatico più distintivo, ma è solo uno dei pezzi dell’ingranaggio. Le font, le linee, i segni e i disegni, ma anche le posizioni e le ripetizioni, le tonalità e le sfumature, le misure e le dimensioni. Tutto deve girare secondo precisi movimenti coordinati che fanno dell’immagine la composizione finale e della marca un’identità riconoscibile. Se un carattere si riduce, un’interlinea si abbassa. Se una foto occupa lo spazio di una pagina, un testo la accompagna. Se un’impostazione identifica la marca, la ripetizione la diffonde. La grafica è il meccanismo degli ingranaggi, il design è il risultato del loro movimento. Il copywriting il motorino di avviamento.
In quel ritmo la marca funziona senza sosta e in ogni mezzo. A volte con azioni creative, altre volte con azioni risolutive. Perché, alla fine, la grafica fa questo: scioglie i grovigli dei nostri tempi e li riavvolge nella complessità dei suoi ingranaggi. Del resto, evocare è il compito più faticoso per una marca, ma è anche quello che la rende rilevante. Il nostro inconscio è pieno di esperienze di vita che hanno lasciato tracce. Una marca che funziona sa come tirarle fuori in tutta la loro sostanza per rielaborarle e darle una nuova forma: quella delle emozioni.
Il prodotto è monòtono ed è giusto che lo sia. Fa quello che deve fare e per questo paghiamo per averlo. Di un prodotto facciamo soprattutto un’esperienza di utilizzo: per questo alla fine corrisponde a quello che ci aspettiamo. La marca invece è polifonica: mette insieme più strumenti e li arrangia per offrirci un’esperienza che all’inizio non rientra nelle nostre aspettative. Perché l’emozione non è mai uguale a sé stessa: ogni volta è una nuova sensazione. Sono sprazzi di vita all’interno di un’esistenza intera. Una forza non da poco per così tanto tempo vissuto. Le emozioni ci smarcano dalla realtà anche solo per qualche secondo, ma sono secondi tra i primi a essere ricordati in tutta la vita. Anche per questo una marca che si fa ricordare è una marca che si smarca.
Una volta c’era una linea di confine. Separava la comunicazione sopra una certa soglia di budget – above the line – dalla comunicazione sotto una certa soglia di budget: below the line. Toglierla era impensabile in quegli anni. Rischiavi di passare per quello che non sapeva fare comunicazione oltre a quello che non sapeva gestire un budget. Perché distingueva la comunicazione che definiva un’idea, ma mirava alla massa, dalla comunicazione che prendeva la mira per colpire un target ben definito. Oggi, quella linea è stata tolta. La comunicazione è diventata tutta un’unica indefinita comunicazione. Nemmeno la distinzione tra marketing tradizionale e marketing digitale si regge più in piedi a cavallo della linea.
Oggi i social media fanno televisione e la televisione è sempre meno il media della società. Oggi i social media arrivano sulla notizia prima della televisione e la televisione prende le notizie dai social media. Oggi tutto è a disposizione dappertutto: al di qua o al di là di una linea che non c’è più. In questo spazio indefinito una marca deve trovare il suo posizionamento. Per questo è necessario riporre una nuova linea di separazione: quella tra il fare marketing e il fare marca. Tra una marca che si smarca per occupare lo spazio che le compete e un marketing che rimarca sé stesso per farsi spazio ovunque.
Prima dell’arrivo dei social la sintesi della comunicazione di un’azienda era rappresentata dal comunicato stampa. Un’entità astratta scriveva ogni tanto, gli altri leggevano. Così, una marca restava sull’altare in mezzo alle sue parole che le persone ricevevano a calcolata distanza. Oggi, invece la marca prende spesso la parola e gli altri le parlano. A volte è una critica, altre volte un complimento, in alcuni casi è una richiesta, in altri ancora un suggerimento. Sono toni di voce diversi e di fronte ai toni che cambiano una marca deve sapere cambiare la propria voce con la parola scritta.
Perché solo una marca che sa stare in mezzo alle parole degli altri sa stare nei social media. E se sa stare in mezzo alle parole degli altri, allora quella marca ha un’audience. Non funziona come sulla strada che il cartellone parla per la marca: nei social è la marca a parlare per sé stessa e per farlo deve sapere parlare con le parole che scrive. Ogni giorno la marca cresce attorno ai contenuti del copywriting che oltre a mettere nei social un pezzo della sua identità danno all’audience un posizionamento per identificarsi. È così che una marca convive con la propria metà. La foto è di un fotografo, l’immagine è di un art director, l’immaginazione è di un copywriter. La foto diventa la scenografia di un brand quando è eletta a rappresentarlo. L’immagine diventa l’identità di una marca ogni volta che occupa la scena nel mercato. L’immaginazione diventa la sceneggiatura di un brand quando un autore la traduce in parole per raccontarlo.
Ma un’immagine è terreno fertile per l’immaginazione di tutti e l’immagine di marca creata da un art director ispira un fotografo nei suoi scatti. Scatta sempre qualcosa nella mente di un copywriter quando vede gli scatti di un fotografo o la grafica che muove il design di un’immagine coordinata. E nella sua scrittura piena di immagini un fotografo e un art director trovano le parole che li guidano uno nello scatto, l’altro nella direzione artistica. Così, tra foto, immagine e immaginazione si progetta l’architettura di una marca. In questa intersezione di competenze si costruisce il palcoscenico dove va in scena l’azienda al di là del suo prodotto e il prodotto al di là della sua azienda.