A 6 anni inizia a mettere le dita tra le corde della chitarra del padre. Nonostante l’età riesce a convincere la madre a pagare le lezioni di piano per metterle anche tra i tasti. Alla tecnica del solfeggio e agli esercizi delle scale mostra però di preferire la sequenza di note suonate a caso. Gli interessa di sentire i suoni, non di capirli. Lo capisce quel giorno all’uscita dalla chiesa: per 10 secondi si ferma ad ascoltarli prima di tornare indietro. «Chi musica jè chista?». «Johann Sebastian Bach», gli risponde il prete. Al mare chiederà allora di portarlo lontano, via da quelle sponde che, come ogni isola, attendono solo di inabissarsi.
Le onde lo porteranno a Roma per un provino alla casa discografica Rca. Anche a Francesco Battiato risponderanno: «Le faremo sapere». In realtà, la voce del padrone non gli fa sapere un bel niente, ma sono cose che capitano anche nel 1964. Lui però non si ferma, rimane sulla terraferma nel suo naufragio in corso, sospinto dal ricordo di quando rubava alla madre il 45 giri per ascoltare Orietta Berti. A 10 anni fa una versione punk di Fin che la barca va.
Allora si lascia andare alle onde che 10 anni dopo lo portano a Milano e lui inizia a portare pacchi in giro per la città. Il lavoro gli lascia un po’ di tempo la sera per fare la gavetta in una balera: un giorno riconoscerà che senza, la sua carriera sarebbe affondata prima ancora di salpare. Al pubblico del Cab 64 propone un repertorio di ballate siciliane, e tra un pezzo e l’altro inserisce autoironici monologhi sull’essere siciliano. È da queste prime esperienze sul palco che Battiato impara a costruire quel legame subacqueo con il pubblico che diventerà poi un dialogo confidenziale in superficie.
A Diamoci del tu non sarà un’onda a portarlo, ma Giorgio Gaber. C’è però un altro Francesco invitato alla trasmissione televisiva condotta da Caterina Caselli. Anche lui cantante, anche lui al debutto in Tv. Si rischia di creare confusione negli spettatori con Guccini a fianco di Battiato. Gaber gli chiede di cambiare nome per quell’esibizione. Da quel giorno diventerà per sempre Franco Battiato.
Eppure, nonostante questi primi cenni di vita professionale nel mondo della musica, pensa di avere sbagliato pianeta, di essere nato nel posto sbagliato. Quando sale sul tram vede alieni e si chiede che cosa c’entri lui con quell’umanità. Se torna a casa dal lavoro è per sdraiarsi sul pavimento e non pensare a nulla: comportamenti da archiviare nel 1971 sotto la voce problemi psichiatrici. Qualcuno gli consiglia di perdersi nella lettura dei mistici orientali, qualcun altro di mistificare quel poco che sente della sua persona in un personaggio.
Così, un giorno ritrova sé stesso in enormi manifesti appesi in tutta Milano. «Che c’è da guardare? Non avete mai visto un divano?» Quello che non si sarebbe mai più visto è un Battiato con il cerone in faccia, stivali ai piedi che arrivano al ginocchio, la bandiera americana impressa nei pantaloni, e un paio di grandi occhiali di plastica per avere più carisma e sintomatico mistero. A conciarlo così è Gianni Sassi, già discografico degli Skiantos e per l’occasione art director nella campagna pubblicitaria dell’azienda di arredamento Busnelli.
Battiato ha 27 anni, una manciata di 45 giri nel repertorio, la naia ancora da fare e un viaggio in Inghilterra programmato da tempo. Lì non nascono solo le nuove tendenze musicali, ma anche nuovi strumenti per crearle. Ce ne sono solo 3 esemplari: uno lo comprano i Pink Floyd, l’altro se lo tiene il negoziante, l’ultimo sintetizzatore VCS3 se lo porta a casa Battiato. Gli strumenti li compra, ma anche li distrugge sul palco ai concerti non prima di avere dato fuoco a crocifissi con il suo volto al posto di Cristo e lanciato oggetti di qualsiasi tipo sul pubblico. Dietro c’è sempre la regia di Gianni Sassi: il giorno dopo acquista spazi pubblicitari nelle riviste di musica per promuovere la trasformazione del cantante: «Questo Battiato è pericoloso», «Franco Battiato è un mostro che può rovinare le nuove generazioni», «E se lo ammazzassimo?».
Non dura molto: non si riconosce nella maschera che indossa. Franco in persona non regge il personaggio Battiato: rompe con Gianni Sassi e manda in frantumi l’immagine che gli aveva disegnato addosso. Vola addirittura negli Stati Uniti per prenderne le distanze. Gira di notte senza meta per poi finire nel primo degli alberghi che trova sulla strada: sfiora più volte il suicidio. Ma se sei un musicista, quando tocchi il fondo per ritrovare te stesso finisci poi a toccare i tasti di un pianoforte per sentire se qualcosa è cambiato. «Ammesso che si possa, cambiare non vuol dire rifiutare quello che si è fatto prima».
Anche perché fino ad allora Battiato non ha fatto altro: sperimentare 8 ore al giorno per cercare il suo suono, più che la musica visto che non sa leggerla. Quando Karlheinz Stockhausen lo scopre è la svolta. Il più stravagante creatore di suoni della seconda metà del Novecento passa una notte intera a insegnargli l’armonia, il solfeggio, la composizione e la lettura delle note. A quel punto a Battiato passa per la testa anche di iscriversi al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano: ma la sua anarchia troverà vita difficile tra le regole accademiche.
E non meno difficile sarà convincere Giusto Pio a dargli qualche lezione di violino. «Ti prego, papà, prendilo. È Battiato». La supplica di un suo fan sarà l’inizio di uno dei più improbabili sodalizi nella storia della musica italiana. È il 1978. Firma per Emi e si affida ad Alberto Radius. Il chitarrista di Lucio Battisti ascolta la registrazione dei pezzi che Emi aveva rifiutato: manca la qualità degli strumentisti. Radius allora pensa a Tullio De Piscopo per la batteria, ha in mente Julius Farmer per il basso e non ha dubbi su chi mettere alle tastiere: Roberto Colombo, il tastierista di Fabrizio De André. A tutti Giusto Pio illustra la partitura dei brani. In uno scantinato trasformato in studio di registrazione nasce L’era del cinghiale bianco.
In realtà, nasce la new wave italiana che Battiato dichiara di non sopportare, ma che lo supporterà durante la carriera. Un'onda lunga rotolerà sui piatti dei giradischi degli italiani e si infrangerà contro le squallide figure che attraversano il Paese e la loro misera vita negli abusi di potere, contro quei programmi demenziali con tribune elettorali e la gente infame che non sa cos’è il pudore, contro quest'epoca di pazzi dove non mancano gli idioti dell'orrore. E anche se la musica contemporanea lo butta giù La voce del padrone lo porterà su, in cima alle classifiche: nel 1982 è il disco più venduto nella storia della musica italiana. Arriveranno allora gli inviti in televisione, le recensioni nei giornali, i soldi nelle tasche. Tanti soldi. Li donerà agli amici meno fortunati, proprio lui che, anche nel pieno del successo discografico, non smetterà mai di scoprire quanto è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire.
Andrea Ingrosso
Copywriter – Autore di scrittura per le aziende.
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