Va in un posto. Ispeziona la proprietà: un pezzo di terra nuda senza alcuna speranza di produrre qualcosa di buono nella vita. Lui invece qualcosa da fargli fare ce l’ha. Prima ci costruisce un edificio, poi lo dà in gestione a chi è capace di farci lavorare fino 100 dipendenti. Per la proprietà transitiva il lavoro arriva anche al netturbino, al giardiniere, al macellatore di carni, al panificatore di pane, al produttore di formaggio, al coltivatore di patate. Così, un terreno che nessuno pagherebbe un centesimo si trasforma in un posto da 1 milione di dollari l’anno di incassi.
Eppure, lui un posto di lavoro sicuro ce l’ha. Lo stipendio arriva puntuale. Alla Lily Tulip Cup Company aumenta ogni volta che sale di posizione: raggiunge persino il ruolo di direttore delle vendite. Ma di vendere bicchieri di carta Ray Kroc dopo 17 anni ne ha le scatole piene. Quando lo comunica a sua moglie rischia di essere piantato su due piedi. Mettersi in proprio non le sembra un’idea per mantenere in piedi un matrimonio.
A salvarlo sarà la dedizione che Ray metterà nella vendita di un frullatore per frappè a 6 fruste. Chiamano da tutti gli stati: dall’Oregon, dall’Arizona, da Washington. La richiesta è sempre la stessa «Voglio uno dei tuoi Multimixer, uno di quelli che hanno i fratelli McDonald». È il 1954, un Multimixer non costa molto meno di un volo. Ray prende quello diretto a Los Angeles per scoprire che cosa accade nelle cucine di Mac e Dick McDonald.
10 centesimi e ti porti al tavolo 80 grammi di patatine. Ne bastano 15 per 50 grammi di carne nell’hamburger. Se saltano fuori altri 5 centesimi ti mettono pure una fetta di formaggio. Per 10 centesimi ti servono una bevanda nel bicchiere, con 20 ci trovi mezzo litro di frappè. La sua immaginazione gira come la frusta del Multimixer: «Perché non ne aprite altri?». Mac e Dick hanno altri progetti, pensano a godersi la vita. Dare la licenza ad altri sarebbe un bel problema: «Chi potrebbe aprirli al posto nostro?». A 52 anni Ray Kroc darà quella risposta in carne e ossa.
L’accordo gli dà il diritto di riprodurre la loro impresa con il franchising in tutto il territorio degli Stati Uniti. La costruzione dei ristoranti deve però portare il nome McDonald’s e rispettare il progetto realizzato dal loro architetto. Il contratto lo obbliga a seguire alla lettera i menu di Mac e Dick. Ray si porta a casa l’1,9% delle vendite lorde dei franchising, loro lo 0,5% di quell’1,9%. Ogni licenza dura 20 anni, 99 il suo contratto con i McDonald. Ma in quel momento sono ancora i frullatori che pensa a vendere, non gli hamburger.
Sembra solo un pezzo di carne, ma in realtà ha un proprio carattere. Trova la mescola che accontenta la maggioranza dei palati: è tutto manzo, senza frattaglie o pezzi di grasso. Si affida a una formula matematica per impilarli: se la pila è troppo alta gli hamburger in fondo si sformano e si seccano. Così, Ray calcola l’altezza corretta perché non succeda. L’obiettivo è rendere il lavoro facile all’addetto alla piastra: in quel passaggio c’è il cuore della catena di montaggio. Uno staff di mani addestrate la muovono verso il business.
Ma per raggiungerlo Ray ammette di avere bisogno di un’altra mano. Una mano che non può permettersi. Quando stringe quella di Harry Sonneborn prima di iniziare il colloquio, non sa che quell’uomo di 39 anni è proprio il socio di affari che gli serve per fare girare la catena McDonald’s. «Non ti posso assumere», gli dice fuori dai denti. Harry torna a casa e fa due conti. Alla fine, tira fuori la cifra per un salario minimo sufficiente a mantenere la sua famiglia: 100 dollari netti a settimana. Così, si ritrovano in 3. Harry che gestisce le finanze, Ray le nuove costruzioni, June le carte in ufficio. Arriva al colloquio con un cappotto sbiadito e senza un briciolo di esperienza come impiegata contabile. È il 1948, il volume di affari del Multimixer cresce a dismisura: Ray arriva a venderne più di 8000 in quell’anno. Ma, o gira gli stati d’America a proporre frullatori ai ristoranti o resta in ufficio a mettere in ordine i conti. Ray le confessa che non può pagarla più di tanto, ma come un cartomante le predice il futuro. Se è disposta a mettercela tutta, quel lavoro la porterà ad assumere un ruolo di responsabilità. June Martino giocherà bene quella carta e in meno di 20 anni diventerà la tesoriera della McDonald’s Corporation.
Ma l’unico modo per fare crescere quel tesoro è entrare nel settore delle costruzioni: avere in mano la proprietà dei ristoranti è la chiave per aprirsi la strada al business. Così, ogni cantiere diventa parte del piano di marketing della Franchise Realty Corporation: ci versano 1000 dollari di capitale, Harry Sonneborn li trasforma in 170 milioni di dollari di immobili. I vantaggi dell’operazione poi si riverseranno sui piccoli fornitori di pane che la McDonald’s farà diventare grandi industrie di panificazione. La Mary Ann Bakary arriverà ad avere un nastro trasportatore di 400 metri per raffreddare i panini dopo la cottura e a consumare 400 tonnellate di farina al mese. La Freund Baking arriverà a produrre 8000 panini all’ora per la McDonald’s e così diventerà uno dei panifici più grandi al mondo.
«Lavora per te stesso, ma non per conto tuo». A volte, le parole di una frase raccontano meglio di un logo l’identità di un’azienda. Quelle di Ray disegnano che cosa sarebbe diventata McDonald’s: non un fornitore per i gestori di ristoranti, ma un partner che li aiuta ad aumentare le vendite. Ma per superare il conflitto che si crea tra considerarli un partner e vendergli qualcosa, Ray mette in piedi un sistema di rifornimento della merce a prezzi stracciati. Perché se fai il fornitore vuoi solo guadagnare sul prodotto che vendi. Se per guadagnarci invece abbassi la sua qualità, danneggi il franchising.
«Volevamo costruire una catena di ristoranti conosciuta per il cibo di qualità costante e per i metodi uniformi nella preparazione». Per sapere tutto quello che serve basta guardare nella spazzatura. Più di una volta alle due del mattino Ray si mette a rovistare nell’immondizia della concorrenza. Quello che fanno Mac e Dick invece è rovistare in tutti i McDonald’s e opporsi alla richiesta di Ray di modificare le clausole del contratto che impedivano la crescita dei suoi affari. Per allungare una vita bisogna tagliare i legami che la mettono in pericolo. Ray sa anche che bisogna accorciare le vie di comunicazione per farlo. «Dammi la cifra, Dick». Quando la sente lettera per lettera uscire dalla cornetta del telefono vede la fine del suo sogno. 2,7 milioni di dollari possono fare cadere il mondo a chiunque. Solo un’altra grande operazione finanziaria poteva tirarli fuori dal nulla. Harry tira fuori dal suo cilindro John Bristol.
Il consulente finanziario della Howard University glieli porta tutti in contanti. In cambio si terrà lo 0,5% dei ricavi lordi di ogni ristorante McDonald’s. Così, il debito si sarebbe estinto solo nel 1991. Con 100 milioni l’anno di hamburger venduti in 110 locali degli Stati Uniti, l’ultimo di quei 2,7 milioni di dollari rientrerà nelle tasche di Bristol nel 1972, 19 anni prima. La restituzione quasi immediata dei soldi dimostra quanto veloce era il ritmo di crescita della McDonald’s. L’America impazziva per la pizza, ma Ray Kroc aveva inventato il cibo preferito degli americani.
Quando nel 1966 decide di entrare in Borsa il valore di un’azione della McDonald’s è di 22,50 dollari. Al termine di quella giornata sale a 30. Alla fine del mese raggiunge la vetta dei 50 dollari. Nel 1955 una licenza McDonald’s costa 950 dollari, 10 anni dopo sfiorerà gli 81.500 dollari. Per Ray diventa sempre più difficile mettere insieme i pezzi e farsi un’idea di quanto stava diventando ricco.
«La gente dice che ho avuto successo dalla sera alla mattina, ma la verità è che la notte in questione è durata 30 anni».
Andrea Ingrosso
Copywriter – Autore di scrittura per le aziende.
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