La fretta trasmessa dalla velocità dei tempi digitali porta tutti a cercare sempre una scorciatoia. Ma senza una mappa in tasca farai meno strada di quella che ti farà fare il tratto più breve. Preferirlo a tutte le vie offerte dalla geografia della carta ti porterà da A a B come fanno i manuali, ma non ti porterà tutto l'alfabeto come fanno invece i libri.
Alla fine, i tempi si allungheranno e non avrai percorso nemmeno metà dello spazio. Anche perché nei manuali non potrai fare inversione a U e così ti lasceranno in mezzo alla strada. Nei libri invece avrai più di una versione, tante quante sono le combinazioni che l’autore tira fuori dell'alfabeto per accompagnarti alla fine della storia. I libri ti portano anche da A e B, ma Cristo in quel tratto ti sentirai come se fossi a casa tua. Un’ospitalità che un manuale non è capace di offrire nemmeno alla reception della copertina.
Del resto, non ci sono leggi che possono proteggerci da noi stessi e per questo nessun articolo del codice penale può difendere i libri dall’invasione dei manuali. Ma per questa egemonia una persona alla fine pagherà per tutta la sua vita. E se l’invasione è commessa da una nazione, quel paese pagherà con la sua storia. E con un sapere che percorre il tratto più breve tra un click e un bit, invece di girare il mondo in 80 giorni.
Già cultura è un sostantivo stupido. Se poi fa coppia con l’aggettivo generale la stupidità sconfina nello spazio indefinito. E nella cultura si perde. L’ignoranza invece getta le fondamenta della nostra biodiversità, quel punto di partenza che ci permette di essere autonomi dalla società, e non automi della società. L’ignoranza è il bene primario che nutre la nostra immaginazione: non sapere è meraviglioso. Se non ci fosse l’ignoranza la nostra mente non potrebbe lavorare. Morirebbe di standardizzazione verbale e di formattazione digitale.
La cultura generale è un po’ come la cultura del lavoro. Quell’impalpabile sapienza da entità astratta con la distanza sociale incorporata. Alla cultura del lavoro è più saggio preferire la scultura del lavoro, per togliersi di dosso quel sapere posticcio di sapersi destreggiare in ogni situazione. Meglio il lavoro scolpito dalle 8 ore che lo fanno vivere, come dalle 6 parole che lo fanno nascere.
Alla cultura generale è più vitale allora preferire l’esercizio balistico della cultura, quando il sapere prende la mira e nel bersaglio il tiratore si ritrova. Così, aprire un libro è come entrare in un poligono di tiro. Chiudersi dentro è esercitarsi a diventare tiratori scelti.
Ma la scelta di tirare a un bersaglio ha colpito tutti, così nessuno può mancare all’esercizio balistico di «Mettere le persone al centro». Siamo bersagliati dalla filantropia. Trovare alle persone un centro dove metterle rimane ancora oggi l’obiettivo più gettonato da istituzioni, aziende e professionisti impegnati nell’aggiustare la mira. Che ci provino a farlo ora con la scuola dà preoccupazione sugli esiti dell’aggiustamento, più che sulle aule d’un tratto al centro degli interessi di qualcuno.
Con o senza banchi anti-Covid. Con o senza distanza sociale. Con o senza mascherine. Con o senza test sierologici agli insegnanti la scuola è l'auditorium dove si formano avventurieri punti di domanda, non il laboratorio dove si formattano funzionari punti di vista. Qualcuno ti dirà che la scuola serve se ti dà degli strumenti. Non dargli retta: cerca solo di fare squadra attorno ai soliti stereotipi. Il maestro invece è il solista che trasmette la conoscenza in stereofonia.
Così, la scuola serve se ti aiuta a diventare qualcuno per qualcosa, a rimanere la stessa persona per ognuno di quegli strumenti. La scuola insegna se ti aiuta a produrre sentimenti senza budget, non solo a gestire quelli che ricevi per fare tornare i conti. La scuola è utile se ti aiuta a metterti nei panni di un ciarlatano, non solo a smascherarlo sotto i suoi panni. La scuola ti dà una mano se alla fine ti sostiene quando un giorno dovrai accettare il tuo tramonto, non solo ammirare quello che ti regala alla vista il giorno. La scelta di fronte al bersaglio è in mano tua. Puoi mirare alla dinastia dell’ing dei manuali o ai nomi e cognomi dei libri.
Così, se vuoi sapere come viene messo in scena e si regge in piedi il mondo devi leggere i manuali. Di marketing, rebranding, personal branding, coaching, positioning, social selling, smart working, storytelling, growth hacking, recruiting. Se invece vuoi sapere come poi il mondo barcolla e cade a pezzi devi leggere i libri. Di George Orwell, José Saramago, Michel Houellebecq, Franz Kafka, Chuck Palahniuk, Pier Paolo Pasolini, Irvine Welsh, Orhan Pamuk, Harold Pinter, Leonardo Sciascia, John Maxwell Coetzee, Wisława Szymborska.
E allora, a 20 anni dacci dentro nello studio. A 25 anni continua a farlo, anche se hai un posto sicuro sotto il sedere. Perché presto quel posto potrebbe non essere più sicuro o le tue sicurezze in quel posto potrebbero venire meno. Ti guarderai attorno per vedere che cosa offre il mercato. Per questo non devi smettere di darci dentro sui libri, anche se lavori in azienda.
Piccola o grande non conta un accidente. Conta invece che dentro trovi qualcuno che abbia la faccia tosta di farti un mazzo così. Solo così un lavoro diventerà un giorno il tuo mestiere. La tua vita sarà piena di guide: la guida al marketing e allo smart working, le linee guida del governo, la guida per ripartire dopo il Covid, la scuola guida, la guida in stato di ebbrezza, l'ebbrezza della guida, la guida del guru semmai dovesse mancarti una guida. Lascia perdere e mettiti alla guida dei tuoi anni.
Dai 30 ai 40 non cessare di darci dentro nello studio, Cristo. E dai 40 ai 50 vai ancora più a fondo: non è mai troppo tardi. Ignorare è meraviglioso anche dai 50 ai 60: se finora ci hai dato dentro sui libri, continua a stare lì dentro. Perché dai 60 in poi è la mente che dovrai curare. Ovunque tu andrai portati un pezzo di mappa. Portati un libro.
Andrea Ingrosso
Copywriter – Autore di scrittura per le aziende.
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